martedì 27 ottobre 2009

Qualche aggiornamento sulla temperatura

Come dal post precedente, un mio discorso che ho tenuto l'anno scorso (solo adessso sbobinato e messo a disposizione), Stavamo seguendo una diminuzione delle temperature medie che proseguivano da almeno 5-10 anni ( a seconda di come facciamo i conti). Inoltre il 2008 è risultato circa 0,1 °C più freddo del masimo dell'inizio degli anni 2000, e che rappresenta come valore circa un decimo d tutto il riscaldamento osservato negli ultimi 100 anni.

Ovviamente "un anno non fa primavera" e tantomeno inverte le tendenze, ma il 2009 sembra tornare su valori più vicini ai massimi raggiunti che ad una continuità nel raffreddamento.

Certo, in una sistema in aumento da circa 100 anni, i brevi periodi di raffreddamento e/o di stasi non sembrano avere particolare significato, ma è anche vero che la natura caotica del sistema climatico difficilement eprmette di effettuare estrapolazioni significative (in entrambe le direzioni).

COmunque qui di seguito vi mostro l'ultima curca prodotta dall'Ufficio Metorologico Britannico, il Met Office, con anche il link a cui riferirsi per questi dati... attenzione, ogni tanto vengopno aggoornati.


Allora: in rosso le barre annuali dello scarto medio della temperatura rispetto il 61-90; in verde quella del 2009, ovviamente una proiezione visto che il 2009 non è ancora finito; in blu l'andamento filtrato a 20 anni (con il 95% di confidenza in azzurro).
Il link è: http://hadobs.metoffice.com/hadcrut3/diagnostics/global/nh+sh/

Commenti????
Valter

Didattica... Ricerca... o tutto quanto?

Salve...
sono tornato.. almeno per adesso. Qui di seguito vi presento alcune mie considerazioni fatte in un convegno svoltosi lo scorso anno a Varenna sul tema "L'avventura dell'insegnamento: didatica e ricerca". Si tratta di un discorso che ho fatto ad un gruppo di persone, colleghi e non, sui problemi della ricerca nel settore climatico.

Spero al cosa vi interessi.
Verrà poi pubblicato negli atti del convegno.... vi aggiornero' sulla pubblicazione.
Saluti
Valter

“L’avventura dell’insegnamento: didattica e ricerca”

Prof. Maggi: Mi trovo sempre a disagio quando i relatori che mi precedono mostrano una capacità dialettica superiore alla mia (quindi quasi sempre!), perciò faccio una cosa, mi metto una maschera, come nel teatro greco. Niente di tragico comunque, semplicemente non userò il microfono, e vi parlerò stando in piedi. Anche perché così vi tocca vedermi per intero, per tutti i miei due metri di altezza!
Come ho detto, sono un po’ a disagio. Chi ha parlato prima di me, astrofisici e letterati, ha raccontato cose estremamente interessanti, portando a profonde riflessioni che, almeno per me, non sembrano facili. Certo, nessuno nasce con la necessità di conoscere com’era l’universo 14 miliardi di anni fa, ma chi lavora in questo settore della scienza, come in altri simili, si trova nella condizione di essere tra i pochi a poter spiegare questi fenomeni, senza che qualcuno, salvo un altro studioso della stessa materia, possa essere d’accordo, dissentire o avere opinioni diverse.
Chi invece, come me, lavora nel settore della Climatologia, si trova nella situazione in cui tutti (ed intendo proprio TUTTI) hanno un’opinione, un pensiero, qualcosa da dire. Infatti il problema dei cambiamenti climatici, e di tutti gli aspetti correlati, non è un problema esclusivamente scientifico e di ricerca, relegato alle aule accademiche o negli istituti di ricerca, ma interessa anche molti aspetti della vita comune, della politica oltre che di comunicazione verso la gente. Quindi diventa anche un problema di insegnamento, di didattica. Il clima, volenti o nolenti, è un problema che sembra essere di interesse comune, che non compete solo a chi lavora nel settore, ma riguarda praticamente tutti gli strati della nostra società a qualunque livello, con un conseguente elevato impatto mediatico. Tutti i sistemi di comunicazione, che siano scritti, in video, informatici o altro, trattano e discutono di clima e dei cambiamenti climatici. Chiunque ha qualcosa da dire (o pensa di avere qualcosa da dire). Qualunque persona che abbia un’opinione sul clima e sui cambiamenti climatici cerca in tutti i modi di portarlo a conoscenza, di comunicarlo e di diffonderlo. Se da una parte ciò è un bene perché tiene alto l’interesse, dall’altra si tratta invece di uno smisurato volume di informazioni, senza una struttura ben definita, e senza un’accessibilità univoca e, specialmente, non verificata. Il problema diventa ancora più grande per chi deve fare didattica, o deve strutturare un percorso di insegnamento che porti ad avere almeno delle basi e degli strumenti, che permettano di acquisire i dati e le conoscenze necessari per comprendere (o cercare di comprendere) i concetti ed i principi legati alla climatologia ed ai cambiamenti climatici. Mi trovo quindi a dover parlare con ragazzi, i miei studenti, che hanno già sentito parlare di climatologia e di cambiamenti climatici, specialmente quelli che frequentano i corsi di laurea che si svolgono in un Dipartimento come il mio, che si chiama Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio (tra l’altro un Dipartimento sul quale esiste la convinzione che quelli che lo frequentano e ci lavorano siano degli ambientalisti!), cioè dove ci si aspetta di trovare persone interessate a questi argomenti, e quindi, che hanno già esplorato il modo dell’informazione climatica (almeno quella mediatica).
C’è un aspetto molto importante a mio avviso; che riguarda noi universitari ma no solo: la curiosità. Può sembrare una cosa ovvia, ma sul bagaglio di esperienza fino ad ora accumulata in 20 anni di insegnamento universitario, non è sempre vero che esista uno stimolo del genere nei nostri ragazzi. A volte la comodità di accedere ad informazioni preconfezionate, già in parte digerite, ma senza che siano state verificate alla luce dello stato dell’arte delle conoscenze (che cambia di giorno in giorno), riduce lo stimolo a diversificare le fonti ed a verificare le informazioni, anche semplicemente nel tentativo di confermare le proprie convinzioni. Ricordo, ma non ce n’è effettivamente bisogno, che è fondamentale la curiosità; permette di arrivare molto lontano, di porsi i problemi e di cercare di risolverli... e non soltanto in Climatologia. Per cui dico sempre ai miei ragazzi “Prima di tutto siate curiosi”. Quando inizio il corso di Climatologia, nel Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente ed il Territorio, all'Università di Milano Bicocca, ci sono due punti fondamentali che anticipo e che considero basilari. La prima cosa che dico è “Questo corso non ha un libro di testo ufficiale!”. In realtà esistono libri che potrebbero diventare la base del corso, ma sono spesso in inglese, e ciò terrorizza gli studenti, inoltre nel settore della Climatologia vengono pubblicati ogni anno una cinquantina di libri di vario genere, che normalmente affrontano il problema dei cambiamenti climatici da cinquanta punti di vista diversi. Per cui preferisco non usare un libro di testo ufficiale nel mio corso e fornisco a loro tutta una serie di materiali, stimolandoli a fare una ricerca specifica sui vari argomenti. L’altra cosa che dico all’inizio del corso, e che reputo molto importante è: ”Non vi fidate di quello che vi dico io; andate a verificare tutte le mie affermazioni. Avete la possibilità di farlo ed avete a disposizione tutti gli strumenti necessari; cominciate ad avere un’età in cui le informazioni che vi arrivano, di qualunque tipo, vanno sempre verificate”. Questo, secondo me dovrebbe valere per molti altri corsi e si ricollega al punto precedente: avere la curiosità vuol dire verificare, controllare, se è vero quello che è stato detto o scritto sia un’opinione personale di qualcuno, o sia qualcosa che è stato scientificamente definito. Questo è lo strumento che cerco di dare ai miei ragazzi: fargli capire che non bisogna mai fermarsi a quello che li viene detto. E’ vero che noi siamo docenti ed abbiamo un certo ruolo, però è anche vero che, specialmente per certe materie che sono particolarmente critiche come la Climatologia, è sempre meglio avere una platea dinamica, cioè che sia in grado di intervenire e di interloquire, anche con commenti e critiche.
Non esiste una vera differenza tra ricerca e didattica, specialmente in ambito scientifico dove l’evoluzione delle conoscenze è talmente elevata che quello che abbiamo scoperto, capito, imparato ieri diventa la didattica di oggi. Esiste cioè un filo continuo tra quello che studiamo e quello che insegniamo, non può esistere un salto, o peggio, ancora un blocco di questo flusso. E’ anche vero che dobbiamo partire sempre dai “fondamentali”, per usare un termine sportivo, cioè le basi necessarie per capire ciò che segue. La scienza però non possiede sempre un percorso diretto e lineare, anzi. Per esempio, l’anno scorso al mio corso di Climatologia ho fornito una serie di informazioni che quest’anno sono in parte cambiate, e quindi sono obbligato a modificare parte del nuovo corso. Alcuni aspetti, anche semplicemente interpretativi, sono stati modificati da nuove conoscenze, ed a volte addirittura smentiscono quello che fino ad ora sembrava acquisito. Perciò la continuità che c’è tra didattica e ricerca, almeno a livello universitario, è fondamentale: non può esserci scollamento o mancanza. Il Ministro Brunetta, in una trasmissione televisiva (non ricordo quale), parlando della situazione della ricerca espresse questo concetto: “C’è la ricerca e c’è l’Università”. Un bel niente! Non esistere differenza tra ricerca e didattica. Così come per la ricerca, anche l’insegnare deve porsi le domande giuste, che permettono di costruire un percorso didattico chiaro e continuo, rivolto agli studenti. Come già detto “Queste sono le conoscenze a tutt’oggi ed io provo ad interpretarle, ma voi dovete andate a verificare se effettivamente l’informazione è quella giusta o se esistono altre alternative”. Io spero sempre di trovare uno studente che alzi la mano e dica: “Professore, lei ha detto una sequenza di stupidate, e adesso le spiego il perché...”. Merita sicuramente grande considerazione.
Come Climatologi abbiamo anche un grosso svantaggio; molte delle informazioni vengono messe sul mercato senza - come si può dire - un’analisi critica. I dati spesso non vengono mai interpretati, non c’è mai qualcuno che li traduce in modo da renderli fruibili in modo obiettivo e semplice. Questa curva [slide, n.d.r. fig.1], che è la curva dell’andamento dell’anidride carbonica nell’atmosfera fino a ottobre 2008, è una curva che si può prestare a dieci interpretazioni diverse, ma non può prescindere da un fatto evidente: si tratta di un aumento della concentrazione dovuto all’emissione di questo gas serra nell’atmosfera da parte delle attività umane. E indipendentemente dalla mia opinione personale sulle cause, devo prima fornire gli strumenti di interpretazione (obiettivi) dei dati e poi tentare di spiegarne le ragioni. E’ questo punto scattano alcune domande... Come comunicare l’interpretazione di questo tipo di dati nell’ambito della nostra funzione didattica, senza rischiare di farsi influenzare dalla propria opinione personale? Come fare capire che, nel dubbio, bisogna cercare più di una opinione o interpretazione, verificando anche l’attendibilità delle fonti stesse, e cercare di comprendere quali sono i meccanismi interpretativi? Non è facile, anche perché l'informazione mediatica, quella generalmente a disposizione di tutti, preferisce gli estremi del “disastro imminente” o del “non è mai successo niente e niente succederà”, piuttosto che un’analisi critica intermedia.



Comunque è questo il mondo in cui mi trovo a dover lavorare, almeno fino a quando mi occuperò di Climatologia e di cambiamenti climatici, ed è indiscutibile la necessità di mantenere la continuità tra la ricerca ed il trasferimento delle conoscenze all’insegnamento (o divulgazione), anche di quelle ancora in incubazione, non completamente digerite dalla comunità scientifica, ma che servono per mantenere il quadro il più completo possibile. In effetti una lettura critica dei dati e dei processi fatta a valle di conoscenze specifiche, dovrebbe stare alla base dell’interpretazione e della successiva divulgazione (o insegnamento); ma questo spesso è disatteso. Oggi possiamo scaricare da internet di tutto, sia dati misurati che le loro interpretazioni fatte da gruppi di ricerca specifici, ma anche le opinioni di chiunque sia in grado di usare un computer, scienziato, politico o persona comune che sia. Un esempio... Prendiamo la curva dell’aumento della temperatura degli ultimi 150 anni [fig. 2]; è simile a quella dell’anno scorso, solamente che quest’anno c’è anche il 2007, e l’ultima barra verde in fondo a destra rappresenta il 2008; verde e non rossa perché è una proiezione a partire dagli ultimi 9 mesi (il 2008 non è ancora finito!). Dal 2005 si osserva una diminuzione dei valori medi annuali e la previsione per il 2008 è all’interno di questa tendenza. Ebbene, possiamo interpretare il tutto come l’inizio di una inversione di tendenza del riscaldamento globale, oppure considerare questo periodo come uno dei tanti periodi di limitato raffreddamento (es. l’inizio degli anni 60 o degli anni 80) all’interno di una tendenza più generale che continua dall’inizio del secolo scorso. Non potendo effettivamente fare previsioni per l’anno prossimo, è difficile dare validità ad una teoria o all’altra. Questo esempio nasce da una discussione con un mio collega, un fisico dell’atmosfera, che ha un atteggiamento molto critico nei confronti del riscaldamento globale. In sintesi mi ha fatto osservare che gli ultimi anni di dati mostrano un generale raffreddamento, e che anche la previsione per il 2008 segue questa tendenza. Allora io prendo il grafico, la guardo e gli dico: “E beh! (scusate, fingo di fare una lezione scusate la presunzione, ma dato il tema...). Negli ultimi tre anni abbiamo una diminuzione media della temperatura annua assoluta sia globale che europea, e questa diminuzione è un valore di circa 0,1 gradi centigradi, su un aumento di circa 1°C negli ultimi 100, di cui almeno 0,5°C negli ultimi 30.” “Certo, esiste una diminuzione, ma ovviamente bisogna verificare anche le tendenze generali, e si tratta di dati ben validati e costruiti in modo rigoroso. Osservando la curva generale della variazione della temperatura globale del nostro Pianeta, per lo stesso periodo, ci sono stati anche delle diminuzioni, con anche periodi di stasi, ma seguite in genere da maggiori e più decisi incrementi di temperatura.” E’ chiaro che non possiamo fare previsioni su quello che succederà nei prossimi anni, ma la tendenza generale sembra in una sola direzione, l’aumento. Dobbiamo anche prendere in considerazione la scala degli eventi climatici.



Quindi, un'analisi critica dei dati mi dice che la tendenza è questa, poi possiamo far finta che non sia così, ma da un punto di vista della didattica, della divulgazione, del trasferimento delle informazioni si deve essere obiettivi.
Attenzione! Fino ad ora non ho fatto nessuna affermazione del tipo: “Il nostro pianeta si sta riscaldando per colpa dell'uomo” oppure “Stiamo per friggere il nostro Pianeta”. Ho fatto vedere semplicemente delle curve di dati, interpretando la loro natura, ma non la loro causa. Questa è la fase iniziale di analisi dei dati, cioè capire quello che le misure ci dicono. Successivamente, per andare a verificarne le cause, sono necessarie molte altre informazioni che non si esauriscono solamente con la misura della temperatura o della anidride carbonica, ma bisogna capire come funziona per intero la Macchina Climatica. Mi ricordo da un corso fatto anni fa che un buon giornalista deve essere in grado di rispondere alle famose 5 domande: cosa (o chi), come, dove, quando e perché. Ebbene, per chi lavora nel settore della ricerca climatica, ma non solo, le prime 4 sono definite da delle misure che noi facciamo (i dati), invece la quinta (il perchè) è legata alla nostra capacità di simulare quello che è successo. Quest’ultimo fatto è del tutto inutile se non abbiamo a disposizione, ed abbiamo capito, quello che i dati ci dicono, indipendentemente dal loro “perché”. Utilizzando i soli dati di temperatura e di anidride carbonica, quelli che ufficialmente vengono pubblicati dai vari istituti delegati alla loro misura (scegliete voi quelli che preferite), posso farvi mezz'ora di conferenza riguardo al cambiamento globale causato dall'uomo e mezz'ora di conferenza contro l’influenza dell'uomo sull'atmosfera. Ma questo mi sarebbe molto più difficile nel momento in cui prendo in considerazione tutti i meccanismi che fanno funzionare la nostra atmosfera ed il sistema climatico in generale, perché mi troverei a dover prendere in considerazione altri dati e informazioni che, integrati, non possono essere letti in modo opposto.
È per questo che ritengo fondamentale per coloro che fanno questo mestiere, mantenere continuità tra ricerca e didattica. Noi non possiamo rallentare o perdere qualche treno, non avremmo più la possibilità di ripartire. D'altro canto maestro non è chi mi da una definizione di un processo (qualunque tipo di processo, in questo caso specifico il cambiamento climatico), ma chi mi dà la possibilità di interpretarlo, e chi mi permette di capire come funziona. È chiaro che io oggi posso solo sperare di essere migliore di coloro che mi hanno insegnato, non per la loro ignoranza, ma per il semplice fatto che sono passati 20-30 anni, e quindi ho 20-30 anni in più di informazioni e di dati che migliorano le conoscenze sui cambiamenti climatici. Quello che ho imparato dai miei maestri è quello che mi ha permesso di continuare. Quello che invece spero, è di poter fare la stessa cosa con i miei studenti e di essere superato da coloro che mi succederanno. Grazie.

giovedì 4 giugno 2009

Scusate per l'assenza

Per oltre un mese non sono riuscito ad aggiornare questo blog, e me ne dispiaccio. I tempi e gli impegni non mi permettono di seguire con continuità questa mia opera.
Stavo pensando di scrivere una serie di post come se fossero delle lezioni sulla climatologia, partendo dalle basi per poi muovermi attraverso i vari aspetti che riguardano anche le discussioni in atto (o che dovrebbero essere in atto!).
L'opera potrebbe essere chiamata "Lo zen e l'arte di capire il clima"... Un poco ritrito come titolo, ma possiamo sempre cambiarlo.
Vediamo come va questa storia, se riesco a completare l'opera o se diventa un altro monumento alla mia incapacità!

venerdì 24 aprile 2009

Eppur si muove!

Sperando che non sia un fuoco di paglia, sembra che la stampa cominci ad interessarsi ai problemi di Politica Climatica, anche se sotto gli echi del G8 Ambiente di Siracusa, e della Giornata della Terra, ieri 22 aprile, passata praticamente ignorata da politici, amministratori e media.

Il Corriere della Sera di oggi apre con un editoriale di Gianni Sartori dove riunisce la necessità di una Terra Verde e dello suo sviluppo economico sostenibile. Sottolinea come oramai esiste un generale conenso, almeno nella comunità scientifica, sull'impatto che ha l'attività dell'uomo su sistema climatico, ed allacciando il discorso dell'aumento delle emissioni di gas serra alla necessità di una continua riduzione dei semplici effetti inquinanti. Si permette anche un arduo accostamento, osservando l'esistenza di un problema Acqua, e, per quanto non esplicitamente, ne evidenzia l'intimo rapporto con i cambiamenti climatici. Nello stesso editoriale viene inserito anche il problema energetico, arrivando a correlare il tutto con l'aumento della popolazione mondiale, prevista per 9 miliardi entro qualche decennio.

Per quanto oramai esiste una ampia letteratura mondiale che ha identificato questi tre problemi, clima-acqua-energia, come intimamamente collegati, in Italia le campane continuano a suonare da sole, senza che ci sia uno spartito unico, e specialmente senza un direttore che ne unifichi i suoni.

Inoltre, se i problemi climatici sono di solito associati aa voci di costi nei bilanci delle varie amministrazioni (pubbliche o private), acqua ed energia sono invece visti come un grosso business, dove è possibile un grosso giuadagno sia da un punto di vista della produzione (energia) sia da quello della gestione (acqua), e quindi da gestire separatamante per non intralciarsi nelle varie richieste finanziarie.

Naturalmente non è importante se il cambio dei regimi delle precipitazioni o della loro quantità totale, e quindi òa disponibilità, sia in risposta ad un cambiamento climatico. E non è importante se la domanda di energia venga modificata nel tempo e nello spazio proprio dal cambiamento delle esisgenze dovute al clima modificato.

Comunque, eppur si muove....almeno per ora.

giovedì 23 aprile 2009

Il G8 dell'Ambiente.... o delle parole?

Sembra che siano state dette "buone" parole al G8 dell'Ambiente a Siracusa. Parole che, uscendo dai discorsi del nostr Ministro dell'Ambiente, sembrano finalmente muoversi nella direzione già presa, da molto tempo, da altre nazioni industrializzate. Parole che comunque si muovono nella direzione opposta a quelle che fono ad ora ha espresso il nostro Presidente del Consiglio. La cosa è quindi particolarmente ambigua, specialmente nei confronti degli altri partecipanti e specialmente in quanto Paese ospitante della riunione!

Comunque, rimanendo al solo discorso del Ministro, esiste una interessante presa di coscienza di due aspetti che reputo importanti: l'equilibrio e la pianificazione.

Un discorso che sottolinea quanto sia importante che "Si affrontino i problemi in modo equilibrato, evitando il negazionismo e le posizioni allarmistiche secondo cui tra dieci anni si scioglierà il Polo Nord", anche se ovviamente il concetto di Emergenza, a livello climatico, è insito nell'a mancanza di chiari dati, specialmente sul comportamento che la macchina climatica può assumere al variare dei suoi parametri interni (es. aumento delle emissioni). Quindi, equilibrio si, ma senza perdere ulteriore tempo.

Importante anche la presa di coscienza che «Bisogna orien­tare i piani energetici a favore delle nuove tecnologie. Una rivoluzione verde che costa molto: dall’1 al 3 per cento del Pil mondiale, da qui al 2050». Ovviamente il costo è un punto importante, anche perchè la mancanza di interventi seri negli ultimi 20 anni ha fatto in modo che l'Italia sia attualmente in forte deficit nei confronti delle previsioni di contenimento delle emissioni e delle applicazioni di tecnologie pulite. Piani energetici, ma anche costruzione di una cultura fondamentale per diffondere l'esigenza di una rivoluzione verde. Questo investimento, dall'1 al 3 per cento del Pil, deve comprendere una parte legata alla formazione, alla ricerca ed alla comprensione dei meccanismi climatici, che, in modo equilibrato, permettano di movere in parallelo, la Conoscenza e la Tecnologia.

In nessuno dei 3 giorni di incontri viene accennato alla necessità di una formazione culturale delle persone che dovranno poi caricarsi l'onere di fornire quell'1-3 % del Pil. Fomazione che deve essere fatta a tutti i livelli, a partire dalle Scuole Primarie fino all'Università, ma non solo. Si deve arrivare alla formazione anche degli Amministratori Pubblici, dai Sindaci agli Assessori, dai Consiglieri ai vari gestori di Enti. Non ultimo DEVE essere prevista la diffusione a tutti delle informazioni sui cambiamenti climatici e sugli apsetti tecnologici, finanziari, sociali ed etici a loro correlati. Formazione che deve essere fatta in modo obiettivo ed equilibrato.

In genere si finisce dicendo "speriamo che.....", ma in questo caso non è più possibile sperare.... Bisogna fare!!!

lunedì 20 aprile 2009

Meditate gente... meditate!

Antonio Zecca e Luca Chiari, La discontinuità del 1945. Le Scienze, 488, aprile 2009.

Docente e allievo all’Università di Trento, hanno studiato una delle anomalie nella più famosa serie di dati del Mondo, l’andamento delle temperature globali degli ultimi 150 anni.
Nel mio post precedente (del 11 aprile 2008), presento la serie delle temperature globali, provenienti dalle elaborazione del Met Office Hedley Center, del Regno Unito. la linea Blu, che rappresenta il valore medio di un ventennio di dati, mostra un aumento dell’anomalia delle temperature globali, a partire dal 1920 fino ai giorni d’oggi, con un picco particolarmente pronunciato intorno agli anni ‘40 del secolo scorso. Una evidente variabilità dei dati è sempre presente nelle serie di questo tipo, infatti si osservano dei su-e-giu tra un anno e l’altro che possono anche essere ricondotti a particolari eventi naturali, tipo eruzioni vulcaniche (es. Pinatubo, nel 1991) che normalmente sottendono un minimo nelle temperature, o eventi tipo El Nino (es. nel 1998) che normalmente sono invece legati ad un aumento delle temperature. Ma normalmente si tratta di una variazione che interessa un anno, o al massimo due anni. Come invece si può facilmente osservare, l’evento degli anni ‘40 interessano altre 5 anni, con una tendenza abbastanza chiara di un brusco aumento seguito da una ridiscesa altrettanto brusca. Evento che in effetti è sempre sfuggito all'interpretazione dei ricercatori e dei modellisti, e proprio per questo utilizzato come una delle prove contrarie al riscaldamento globale.
L’analisi, critica, dei dati deve stare sempre alla base della ricerca scientifica, cosa che è stata fatta a partire dal 2002, quando sono stati unificati tutte le banche dati utilizzate per questi studi nell’ICOADS (International Comprehesive Ocean-Atmospherere Data Set). Banca dati che raccoglie non solo i singoli dati climatici (temperatura, precipitazione, pressione, umidità relativa, ecc...) ma anche i cosiddetti “metadati”, cioè le informazioni sugli strumenti, loro tarature, eventuali sostituzioni, operatori, ecc..., che diventano importanti quando si vuole comprendere a pieno il valore dei dati stessi. Analisi effettuata in modo molto capillare, tanto che si è arrivati a comprendere come mai il periodo intorno al 1945 mostrava questo anomalo aumento, ed in particolare a capire che questa anomalia era legata a dati prevenienti dalle temperature superficiali dell’acqua degli oceani.
Differenti tecniche di misura delle temperature dell’acqua oceanica superficiale sono alla base di questo studio. Gli inglesi hanno da sempre usato, come tecnica di misura dell’acqua superficiale dei mari, la tecnica di portare a bordo un secchio d’acqua e poi misurarne la temperatura. Venivano usati differenti recipienti per ridurre al minimo il rischio di errori, ma ovviamente questo è praticamente impossibile. L’effetto del vento sui secchi usati per i campionamenti portava ad una lieve riduzione della temperatura dell’acqua poi misurata.
Gli Americani invece, ben prima della Seconda Guerra Mondiale, misuravano la temperatura direttamente nei tubi dell’acqua pescata per raffreddare i motori. Questo portava a misurare temperature leggermente superiori a quelle reali.
Il lavoro di integrazione dei dati nelle serie climatiche portavano all’annullamento reciproco degli errori, almeno fino al II conflitto Mondiale, quando gli inglesi ridussero al minimo le misure in mare, a differenza degli americani che continuarono ad effettuare le loro misure.
Durante questo periodo la sovrastima dovuta alla tecnica degli americani prese il sopravvento, arrivando ad ottenere misure fino a 0,4°C maggiori rispetto le temperature reali. Situazione che fu chiara solamente dopo il 2002, quando furono integrati i database delle misure nell’ICOADS. Qui è stato possibile ricostruire la storia delle misure delle temperature e capire come questo errore sistematico non fosse stato corretto.
Zeccha e Chiari hanno effettuato questo lavoro ed hanno stimato l’errore correggendolo. Questo lavoro mette in luce come la ricerca non si ferma mai, neppure di fronte all’ovvio. L’analisi critica dei dati è sempre stata una priorità, e l’analisi critica dei dati alla luce di nuove conoscenze è una priorità DOVUTA!
Mai fermarsi, mai credere di aver finito. Le scoperte di oggi mettono in dubbio quelle di ieri.
Meditate gente... meditate!

Quando il futuro imita il passato.…

Corriere della Sera, 20 Aprile 2009
Uno scudo di gas contro l'effetto serra

Franco Foresta Martin, noto giornalista scientifico del Corriere della Sera, riporta una notizia proveniente dal settimanale americano Newsweek, sulla proposta di due Premi Nobel, Paul Crutzen (Nobel per la chimica nel 1995) e Thomas Schelling (Nobel per l’economia nel 2005), di ridurre il riscaldamento globale del Pianeta immettendo in atmosfera biossido di zolfo come schermante delle radiazioni solari.
Uno degli effetti dei composti dello zolfo è quello di funzionare da schermo nei confronti delle radiazioni solari, riducendo la quantità di energia che raggiunge la superficie terrestre. Si tratta quindi di un effetto che contrasta quello dei gas serra, i quali tendono a riscaldare la superficie. E’ quindi un caso di forcing negativo che contrasta il forcing positivo dei gas serra.
La storia dei composti dello zolfo in atmosfera è però nota da molto tempo.
A partire da secondo dopoguerra, intensa industrializzazione del Nord America e dell’Europa aveva portato ad immettere in atmosfera una quantità enorme di composti dello zolfo, derivanti in massima parte dalla combustione di oli non particolarmente raffinai e da carbone, attraverso tecnologie di produzione a bassa efficienza e alta emissione. Queste sostanze, arrivarono ad abbassare il pH della pioggia fino a livelli tali da dover adottare il termine “Piogge Acide” per indicarle. Una situazione che, ai tempi, creò problemi alla vegetazione di aree disposte sottovento ai grandi centri industriali, fino a centinaia di km di distanza. Per esempio negli anni ‘80, la Foresta Nera presentava circa il 50% delle piante danneggiate dalle piogge acide, e nel 1974 in Scozia è stata misurata un’acidità della pioggia di pH 2,7 (!!).
L’idea quindi dei due premi Nobel, potrebbe essere considerata come interessante esercizio di modellistica atmosferica a scala planetaria, ma sicuramente andrebbe valutato con maggiore dettaglio i possibili effetti a lungo (e forse anche a medio) termine.
Forse è meglio arrivare a costruire politiche che portino ad una riduzione delle emissioni di TUTTI gli inquinanti, sia quelli clima-modificanti che gli altri. Questo è fondamentale per costruire una società che permetta di arrivare ad una società la più equilibrata possibile, dove la parola Sostenibilità abbia lo stesso significato per tutti gli abitanti del nostro Pianeta.

sabato 11 aprile 2009

Qualche curva... qualche dato.


Le barre rosse indicano le anomalie della temperatura media annua globale in prossimità della superficie dal 1850 al 2008, con la barra dell'errore al 95% di confidenza (trattino grigio). La barra verde è la stima per l'anno in corso, ovviamente diventerà sempre più significativa con il passare dell'anno. La linea spessa blu mostra i valoro medi annuali dopo un filtraggio a 21 punti con sistema binomiale. Le linee fini blu, rappresentano l'inncertezza del filtraggio al 95% di confidenza. http://hadobs.metoffice.com/hadcrut3/diagnostics/global/nh+sh/





Si tratta di una animazione della variazione della anomalia di temepratura a partire dal 1880 fino al 2007 con un passo di 5 anni.
Ecco dove trovare dati e filmati
http://data.giss.nasa.gov/gistemp/

Ghiacciai e livello del mare. Quando l’equilibrio è tutto.

David Bahr e colleghi della Regis University e dell’Univesity of Colorado, negli USA, partendo dalle misure di riduzione delle aree di accumulo dei ghiacciai avvenuta fino ad ora, hanno stimato che la perdita di massa dei ghiacciai continuerà anche se la situazione climatica del nostro Pianeta si stabilizzasse. Questo “tempo di risposta” dei ghiacciai farebbe in modo che la riduzione della loro massa continuerebbe fino ad una ulteriore perdita di circa il 27% di quella attuale, equivalente a circa 18 cm di aumento del livello medio del mare. Inoltre hanno stimato che, se le condizioni climatiche dovessero evolvere con le tendenze degli ultimi 30 anni, intorno al 2100 la perdita di massa dei ghiacciai raggiungerebbe il 55%, equivalente a circa 37 cm di aumento nel livello medio dei mari.
Infatti esistono intime relazioni tra livello del mare e ghiacciai.… Una è molòro semplice, sono fatti entrambi da acqua, chi liquida, chi solida, ma sempre acqua. Esiste anche una relazione tra la quantità di ghiaccio sui continenti, quindi i ghiacciai, e l’acqua negli oceani, che comunque ne contengono la maggior parte. Inoltre i ghiacciai sono formati dalla precipitazione nevosa che deriva dalla evaporazione dell’acqua di mare e, conseguentemente, la fusione di questo ghiaccio torna alla fine agli oceani. E’ una parte di quello che è chiamato “ciclo dell’acqua”.
L’esistenza dei ghiacciai è un delicato equilibrio tra la neve che precipita sui ghiacciai, detto accumulo, e quella parte di neve e ghiaccio che fonde durante le stagioni calde e viene portata via con i torrenti ed i fiumi, chiamata ablazione. Una variazione di uno dei due parametri, temperatura o precipitazioni, o di entrambe, porta ad un aumento o una diminuzione della massa dei ghiacciai. Questo delicato equilibrio è quindi funzione del clima e delle condizioni climatiche di una certa regione del nostro Pianeta, e per contro, al cambiare delle condizioni climatiche cambiano anche le tendenze dei ghiacciai. Ovviamente la risposta dei ghiacciai a questi cambiamenti non è immediata. A seconda delle loro dimensioni e delle variazioni climatiche a cui sono sottoposti, possono modificare la loro massa anche con anni di ritardo, fenomeno chiamato “tempo di risposta”.
Alla fine la relazione è semplice, se i ghiacciai perdono massa di ghiaccio, questa massa, sottoforma di acqua, scorre verso gli oceani, aumentando il loro livello.

David B. Bahr, Mark Dyurgerov, Mark F. Mayer (2009). Sea-level rise from glaciers and ice caps: A lower bound. Geophysical Research Letters, 36, L03501.

martedì 7 aprile 2009

Terremoto in Abruzzo - sterile polemica in sterile paese

Rischio sismico, rischio vulcanico, rischio idrogeologico. Ho dimenticato qualcosa? Si, devo aggiungere il rischio industriale, forse l'unico che viene preso sul serio. Anche nella fase di prevenzione e di controllo, e non solo come emergenza inevitabile, almeno dopo Seveso. Il processo cominciato a Torino sulle multinazionali dell'amianto, e quelle terminato qualche anno fa per Porto Marghera, mostrano uno scorcio della nostra storia, che speriamo resti storia.

Ma gli eventi naturali, come il disastro in Abruzzo nelle sue tragiche conseguenze, mette in luce i forti limiti italiani. Sia chiaro, non è una critica alla macchina dell'emergenza che sta funzionando nonostante le condizioni dell'area terremotata. Un paese moderno DEVE avere la capacità di gestire le emergenze nel modo più efficiente possibile, e purtroppo la nostra macchina è stata testata molte volte, troppe volte, per esser presa di sorpresa!

E' invece la discussione in atto sulla prevedibilità dei terremoti, figlia del ridotto investimento della ricerca italiana sui sistemi naturali, alla base di questo mio commento. La conoscenza geologico-geofisica di un territorio e gli aspetti meteo-climatici sono fondamentali per la comprensione degli eventi che nell'ultimo secolo hanno fatto centinaia di migliaia di vittime in Italia. La prevedibilità degli eventi estremi e catastrofici sarà possibile solo a valle di una profonda conoscenza dei sistemi naturali, e della loro oramai inevitabile integrazione con l'ambiente umano. Non è più possibile ignorare, per mancanza di volontà o per calcolo, il pericolo che caratterizza buona parte dell'Italia. Non è possibile mantenere l'enorme macchina per la gestione delle emergenze come la Protezione Civile, senza fornirla delle necessarie conoscenze sul funzionamento di tutti i fattori di rischio del nostro paese.

La costante demolizione della ricerca italiana non lascia particolari speranze per il futuro, a meno di un radicale cambio di politica. L'ignoranza si paga, o peggio, la paghiamo tutti!

lunedì 6 aprile 2009

Un'altro pezzo di Antartide si è staccato


In effetti sono quasi 10 anni che la Penisola Antartica ci ha abituati a questa "perdita di pezzi", cominciata nel 1998, quando circa 1100 km2 della parte settentrionale della Piattaforma di Wilkins si rompe in migliaia di iceberg. Segue nel 2001 la Piattaforma Larsen B, nella parte orientale della Penisola Antartica, si disintegra davanti gli occhi di alcuni satelliti, distruggendo circa 3300 km2 di ghiaccio galleggiante, con uno spessore medio di oltre 200 m. Proprio l'anno scorso, ancora la Piattaforma di Wilkins perde ulteriore massa, con la rottura della parte meridionale per circa 500 km2.

Ed è sempre la Piattaforma di Wilkins che torna alle cronache con la rottura del sottile ponte che divideva le due zone collassate nel 1998 e nel 2008. Collasso che riduce ulteriormente la massa di ghiaccio galleggiante che ha sempre caratterizzato quelle zone dell'Antartide, note fin dalle prime esplorazioni nel 1800.

(Testo in preparazione)

La Rivoluzione del Clima. di Bryan Fagan, Sperling & Kupfer Ed. 2001


La storia climatica del nostro pineta "a la carte" e la loro influenza sull'Uomo.... Ebbene si. Esiste una relazione bi-univoca tra il clima e le sue variazioni, e l'uomo e la sua storia. E questa relazione è particolarmente intensa a partira dal medioevo ad adesso. Consiglio di visitare il sito http://www.appuntidistoria.it/ per una migliore trattazione delgi aspetti storici.
In effetti l'autore racconta una storia che comincia con quello che viene chiamato "periodo caldo medioevale", le cui condizioni climatichge erano effettivamente miti, tanto da permettere la quasi completa colonizzazione della Scandinavia e delle terre circostanti con il conseguente sviluppo della cultura Vichinga. Cultura proprio legata alla possibilità concessa dal cima di sostenere la vita di decine, forse centinaia, di migliaia di persone, in un periodo dove l'agricultira ave ancora grossi caratteri di sussistenza. L'intero libro si sviluppa poi lungo il periodo successivo che portò alla "Piccola Età Glaciale" culminata nel 1800, il cui inizio, alla fine del medioevo, corrispone in effetti con la fine della cultuira Vichinga. Rimando a letture più specializzate l'aspetto storico delle vicende, ma esiste una buona concordanza tra la storia climatica e quella culturale in queste regioni, durante il medioevo.
(Testo in preparazione)

mercoledì 1 aprile 2009

Catastrofismi o negazionismi?

“Clima”… un problema di scelte (?!)

Valter Maggi

Catastrofisti o negazionisti, apocalittici o indifferenti, buoni o cattivi. Nell’ampia letteratura mediatica degli ultimi due decenni sembra le scelte siano già definite: o da una parte o dall’altra! Più difficile è l’interpretazione della letteratura scientifica, quella specialistica, dove non esiste un “dibattito”, ma una analisi oggettiva, o almeno la più oggettiva possibile. Chi ha avuto la possibilità di partecipare a dibattiti, convegni o tavole rotonde con persone che lavorano e studiano il clima si sarà reso conto della difficoltà nel prevedere quello che potrà succedere nei prossimi 50-100 anni.
Non è una mancanza di impegno, ma l’effettiva impossibilità di poter “sperimentare” processi, meccanismi ed effetti dell’influenza dell’uomo sul clima. Abbiamo un solo Pianeta, quello su cui viviamo, per cui non possiamo fare come i medici con i farmaci e sperimentarli su cento pazienti. Non possiamo prendere un pianeta simile alla Terra e vedere “che effetto che fa” raddoppiare la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera. Dobbiamo costruire modelli matematici, trasformare tutto in equazioni che possano esser digerite dai computer, ma prima di tutto dobbiamo capire come funziona il sistema climatico.
Una domanda su tutte può rendere l’idea dell’enorme lavoro in corso: come funzionava il sistema climatico prima dell’influenza dell’Uomo? Oggi la nostra atmosfera è “dopata” dalle emissioni antropiche, quindi leggiamo, nelle registrazioni climatiche, le due informazioni, quella naturale e quella legata all’uomo. Oggi l’anidride carbonica ha concentrazioni nell’atmosfera di circa 380-385 parti per milione di cui almeno 100 sono di origine antropica.
Dato che gli strumenti di misura sono stati inventati ed utilizzati proprio in corrispondenza dell’inizio dell’Era Industriale, non ci sono misure dirette dei vari parametri climatici. Dobbiamo usare gli “archivi naturali”, fondali oceanici, tronchi di piante, depositi di laghi, ghiacciai... dove, per esempio non misuriamo direttamente una temperatura, ma il rapporto tra isotopi dell’ossigeno e dell’idrogeno. Cerchiamo quindi di trasformare dati di vario tipo in informazioni climatiche. Oggi, grazie ai ghiacciai polari, possiamo raccontare con una certa precisione la storia del clima degli ultimi 820.000 anni grazie alla ricostruzione della composizione chimica dell’atmosfera del passato.
Vengono pubblicati oltre 800 articoli scientifici all’anno solo sui risultati delle misure sul ghiaccio polare, è quindi impossibile riassumere tutto in poche righe, ma possiamo fare un esempio che potrebbe chiarire la situazione. Nel passato l’anidride carbonica ha raggiunto al massimo i 280 parti per milione ed è variata naturalmente con valori di 1-2 parti per milione massimi ogni secolo. Ma oggi? A partire dall’inizio del XX secolo l’anidride carbonica è aumentata di circa 100 parti per milione per secolo. Quindi, volendo fare i conti della serva, 2 parti dal sistema naturale e 98 parti dall’Uomo!
E’ chiaro che questo effetto non può che andare ad intaccare seriamente quello che Madre Natura ha costruito da sola. Oramai è abbastanza chiaro che per gli ultimi 30-40 anni, l’uomo ha influito sul sistema climatico causando una parte dell’aumento di temperatura che registriamo da 100 anni.
Questo certamente non distruggerà il nostro Pianeta, e tantomeno nei prossimi 100 anni il genere umano non rischia l’estinzione. Ma il clima controlla un’ampia fetta del sistema umano, dalla produzione agricola, alla pesca, alle necessità energetiche, alla disponibilità di acqua, e tanto altro. Sul nostro pianeta vivono attualmente oltre 6 miliardi di persone di cui almeno 4 senza accesso alle necessità di base, inoltre abbiamo una stima a 10 miliardi per il 2100. Per cui permettetemi una domanda. Se il clima cambierà in modo sostanziale, riusciremo a sostenerli tutti?

domenica 1 marzo 2009

Storie di ghiacciai

CLIMA/ Maggi (glaciologo): “I ghiacciai tornati agli anni ’70? Troppo presto per dirlo”

Con giubilo e trionfo il rigido inverno 2008/2009 è stato salutato come l’antidoto al riscaldamento globale. Ma passare dal catastrofismo alla redenzione rimane sempre un’esagerazione. Lo dice Valter Maggi, glaciologo, in questa intervista a ilsussidiario.net, che invita alla prudenza gli ottimisti sdrammatizzando comunque le geremiadi dei profeti di sventura

Professor Maggi , stando a quanto recentemente sostenuto da alcuni climatologi e riportato da parecchi giornali, sembrerebbe che i ghiacciai siano ritornati alle dimensioni che avevano negli anni ’70.

Addirittura? Bene, io posso dire che alla fine di dicembre si è tenuta la consueta riunione del Comitato Glaciologico Italiano, organo che raccoglie gli esperti di glaciologia, ricercatori accademici e non. Una delle principali attività svolte dal comitato è quella di controllare un significativo campione (circa 200) di ghiacciai nazionali, a partire dalle alpi marittime fino al Friuli Venezia Giulia. A tutto settembre il risultato delle misurazioni li vedeva in ritiro esattamente come è sempre stato negli ultimi vent’anni. La situazione non è assolutamente cambiata.

Poi è nevicato, come succede di solito in inverno, e questo non significa per forza che qualcosa sia cambiato. I ghiacciai probabilmente non se ne sono neanche “accorti”.

Ovvero?

Per poter fare in modo che un ghiacciaio si muova occorre che la sua intera massa venga modificata in modo incisivo. E questo potremo verificarlo soltanto alla fine dell’anno, non solare ma idrologico, che finirà il prossimo novembre. È chiaro che d’inverno la neve non fonde. Per questo, prima di sbandierare dichiarazioni eclatanti bisogna vedere come passeranno la primavera e l’estate. In qualunque caso è davvero molto difficile che la nevicata d’inverno possa incidere immediatamente sulla massa del ghiacciaio. Aggiungo soltanto un’ultima osservazione su quanto sostengo: non intendo certamente avere la pretesa di descrivere le possibilità infinite che la Natura riserva. Tutto è possibile, anche che i ghiacciai nel giro di un anno accumulino una massa impressionante, ma diciamo che è davvero molto improbabile. Inoltre la mia analisi riguarda solamente la situazione nazionale.

Nel resto del mondo ci sono “sorprese” in questo senso?

In Norvegia e in Nuova Zelanda ci sono alcuni ghiacciai che stanno avanzando. Ma l’ipotesi che finora è considerata maggiormente plausibile attribuisce la causa di questo fenomeno paradossalmente al riscaldamento globale e non al suo contrario.

Potrebbe spiegare il motivo di questo paradosso?

In poche parole si tratta di ghiacciai molto vicini al mare. Durante l’estate il calore favorisce la quantità di vapore acqueo nell’atmosfera causando maggiori precipitazioni. Il conseguente accumulo di neve impedisce perciò che il periodo estivo fonda i ghiacci. La fusione naturale non riesce a intaccare l’accumulo di nevi. Si tratta comunque, ripeto, di pochi casi isolati rispetto alla totalità dei depositi mondiali.

Il ritiro dei ghiacciai è dovuto a un andamento naturale o è causa anche del surriscaldamento globale?

I nostri ghiacciai sono in ritiro, non costante ma con “pulsazione”, a partire più o meno dalla fine del 1800. Tra il 1850 e il 1900 tutti i ghiacciai del mondo hanno iniziato a ritirarsi. La metà dell’800, come punto di avanzata massima, è una causa naturale. Difatti quel periodo segna la fine della cosiddetta “piccola età glaciale” che ebbe inizio a partire dal 1300/400. La fine di quest’epoca ha corrisposto con quello che è stato il grande boom dell’azione umana sul nostro pianeta. A essere onesti dall’inizio degli anni ’80 a oggi c’è stato un grandissimo ritiro il quale, almeno stando ai dati del pannello internazionale dei cambiamenti climatici dell’ONU, è dovuto al riscaldamento. Anche se attualmente la situazione è meno critica rispetto al periodo degli anni ‘80/’90.

È da dire che i ghiacciai rispondono sia alla temperatura sia a un’eventuale riduzione delle precipitazioni. L’avanzamento o il ritiro non sono legati solo ed esclusivamente al calore o meno, ma anche a quanto e a quando nevica. Se nei mesi primaverili non nevica il rischio di fusione è molto più elevato e la temperatura può mangiare quello che era il ghiaccio del precedente anno. Negli ultimi decenni si è assistito, dicevo, a un grosso ritiro, specialmente nell’area alpina dove si stima un innalzamento di più di un grado. Ma ciò è dovuto anche al fatto che le stesse precipitazioni hanno cambiato regime e di neve ne è caduta molto poca.

Ma lei parlava prima di una maggiore criticità durante gli scorsi decenni. Si sta per caso assistendo a un’inversione di tendenza?

Ovviamente questi trend non sono sempre continui. Non è che quando decidiamo che c’è un riscaldamento globale tutti gli anni, di conseguenza, faccia sempre più caldo. È difficile dire oggi, al terzo anno piuttosto freddo, rispetto al precedente periodo, che questa sia un’inversione di tendenza. Non bisogna confondere le variazioni delle tendenze medie con quelle che sono le variazioni naturali. L’occhio limitato nel tempo degli uomini, trae spesso in inganno. Per questo occorrono le statistiche. Se per i prossimi vent’anni la situazione si presenterà più o meno simile a quella attuale potremo parlare di raffreddamento.

Lei è di professione glaciologo. Che cosa significa esattamente studiare il ghiaccio, elemento che, per il senso comune non è null’altro che acqua solidificata?

In genere la glaciologia studia la criosfera cioè quella parte del pianeta coperta dal ghiaccio. In poche parole studiamo la superficie dell’Antartide (una volta e mezzo l’Europa) e quella della Groenlandia. Questi due territori da soli comportano circa il 99% dei ghiacci che ci sono sul nostro pianeta. Tutti gli altri ghiacciai formano appena l’1%. Le dimensioni sono dunque notevoli. Normalmente i glaciologi lavorano su questo. Abbiamo a che fare con situazioni fortemente legate al sistema climatico e oceanico in quanto il ghiaccio continentale controlla il livello del mare. Quindi questa è una grossa fetta di studio.

Inoltre il ghiaccio deriva da precipitazione nella neve e ha la capacità di congelare, e quindi conservare quasi perfettamente, tutto ciò che trova nell’atmosfera. I nostri più recenti carotaggi, effettuati nelle zone sopra citate, sono giunti ad una profondità di circa 3,3 km. Questo significa che ci hanno dato la possibilità di ricostruire le atmosfere i cui elementi sono rimasti intrappolati nel ghiaccio nel corso di intere epoche. Ad oggi abbiamo ricostruito il clima del passato per gli ultimi 800.000 anni. Il mio mestiere è dunque anche quello di studiare il clima del passato. Un tesoro di storia inestimabile, un archivio di informazioni preziosissime.

Quanto è realistica la paura che si avverte a livello globale per lo scioglimento dei ghiacci?

Offro un paio di numeri, giusto per intenderci. Se prendessimo tutta la Groenlandia e la fondessimo il livello del mare si alzerebbe dai 5 ai 7 metri. Se si facesse la stessa cosa con l’Antartide il livello del mare si alzerebbe di 70 metri. Fortunatamente non ci sono tracce di pericolo che questi si possano fondere.

La situazione non è quindi per nulla disastrosa. Ma non significa che non ci siano problemi. Occorre tenere sotto controllo alcune zone sensibili del pianeta quando si registrano innalzamenti assai inferiori a quelli di cui sopra. Un innalzamento del livello delle acque di 40 centimetri può provocare gravi disagi in diffuse zone della Terra. E non sto banalmente parlando di Venezia, ma di certi luoghi molto più a rischio, come l’Olanda o il Bangladesh i quali hanno una grossa fetta del proprio territorio addirittura sotto il livello del mare. Ma anche qui occorre sdrammatizzare in un senso e non fantasticare nell’altro. Ovviamente non sappiamo cosa accadrà tra cento anni. Le nostre previsioni sono in grado di offrirci una certa affidabilità solo per i prossimi sei giorni dal momento in cui vengono applicati i modelli. Se i modelli sono invece applicati a periodi di tempo equivalenti a secoli è ovvio che si tratta soltanto di ipotesi. Questa incapacità di fare previsioni riguarda, come abbiamo visto, i mercati internazionali e l’economia i quali si basano su cifre apparentemente molto più certe. Figuriamoci i calcoli relativi all’atmosfera terrestre. Per cui occorre e risulta molto più utile affidarsi alla statistica e a un sano realismo.

fonte: ilsussidiario.net