martedì 27 ottobre 2009

Qualche aggiornamento sulla temperatura

Come dal post precedente, un mio discorso che ho tenuto l'anno scorso (solo adessso sbobinato e messo a disposizione), Stavamo seguendo una diminuzione delle temperature medie che proseguivano da almeno 5-10 anni ( a seconda di come facciamo i conti). Inoltre il 2008 è risultato circa 0,1 °C più freddo del masimo dell'inizio degli anni 2000, e che rappresenta come valore circa un decimo d tutto il riscaldamento osservato negli ultimi 100 anni.

Ovviamente "un anno non fa primavera" e tantomeno inverte le tendenze, ma il 2009 sembra tornare su valori più vicini ai massimi raggiunti che ad una continuità nel raffreddamento.

Certo, in una sistema in aumento da circa 100 anni, i brevi periodi di raffreddamento e/o di stasi non sembrano avere particolare significato, ma è anche vero che la natura caotica del sistema climatico difficilement eprmette di effettuare estrapolazioni significative (in entrambe le direzioni).

COmunque qui di seguito vi mostro l'ultima curca prodotta dall'Ufficio Metorologico Britannico, il Met Office, con anche il link a cui riferirsi per questi dati... attenzione, ogni tanto vengopno aggoornati.


Allora: in rosso le barre annuali dello scarto medio della temperatura rispetto il 61-90; in verde quella del 2009, ovviamente una proiezione visto che il 2009 non è ancora finito; in blu l'andamento filtrato a 20 anni (con il 95% di confidenza in azzurro).
Il link è: http://hadobs.metoffice.com/hadcrut3/diagnostics/global/nh+sh/

Commenti????
Valter

Didattica... Ricerca... o tutto quanto?

Salve...
sono tornato.. almeno per adesso. Qui di seguito vi presento alcune mie considerazioni fatte in un convegno svoltosi lo scorso anno a Varenna sul tema "L'avventura dell'insegnamento: didatica e ricerca". Si tratta di un discorso che ho fatto ad un gruppo di persone, colleghi e non, sui problemi della ricerca nel settore climatico.

Spero al cosa vi interessi.
Verrà poi pubblicato negli atti del convegno.... vi aggiornero' sulla pubblicazione.
Saluti
Valter

“L’avventura dell’insegnamento: didattica e ricerca”

Prof. Maggi: Mi trovo sempre a disagio quando i relatori che mi precedono mostrano una capacità dialettica superiore alla mia (quindi quasi sempre!), perciò faccio una cosa, mi metto una maschera, come nel teatro greco. Niente di tragico comunque, semplicemente non userò il microfono, e vi parlerò stando in piedi. Anche perché così vi tocca vedermi per intero, per tutti i miei due metri di altezza!
Come ho detto, sono un po’ a disagio. Chi ha parlato prima di me, astrofisici e letterati, ha raccontato cose estremamente interessanti, portando a profonde riflessioni che, almeno per me, non sembrano facili. Certo, nessuno nasce con la necessità di conoscere com’era l’universo 14 miliardi di anni fa, ma chi lavora in questo settore della scienza, come in altri simili, si trova nella condizione di essere tra i pochi a poter spiegare questi fenomeni, senza che qualcuno, salvo un altro studioso della stessa materia, possa essere d’accordo, dissentire o avere opinioni diverse.
Chi invece, come me, lavora nel settore della Climatologia, si trova nella situazione in cui tutti (ed intendo proprio TUTTI) hanno un’opinione, un pensiero, qualcosa da dire. Infatti il problema dei cambiamenti climatici, e di tutti gli aspetti correlati, non è un problema esclusivamente scientifico e di ricerca, relegato alle aule accademiche o negli istituti di ricerca, ma interessa anche molti aspetti della vita comune, della politica oltre che di comunicazione verso la gente. Quindi diventa anche un problema di insegnamento, di didattica. Il clima, volenti o nolenti, è un problema che sembra essere di interesse comune, che non compete solo a chi lavora nel settore, ma riguarda praticamente tutti gli strati della nostra società a qualunque livello, con un conseguente elevato impatto mediatico. Tutti i sistemi di comunicazione, che siano scritti, in video, informatici o altro, trattano e discutono di clima e dei cambiamenti climatici. Chiunque ha qualcosa da dire (o pensa di avere qualcosa da dire). Qualunque persona che abbia un’opinione sul clima e sui cambiamenti climatici cerca in tutti i modi di portarlo a conoscenza, di comunicarlo e di diffonderlo. Se da una parte ciò è un bene perché tiene alto l’interesse, dall’altra si tratta invece di uno smisurato volume di informazioni, senza una struttura ben definita, e senza un’accessibilità univoca e, specialmente, non verificata. Il problema diventa ancora più grande per chi deve fare didattica, o deve strutturare un percorso di insegnamento che porti ad avere almeno delle basi e degli strumenti, che permettano di acquisire i dati e le conoscenze necessari per comprendere (o cercare di comprendere) i concetti ed i principi legati alla climatologia ed ai cambiamenti climatici. Mi trovo quindi a dover parlare con ragazzi, i miei studenti, che hanno già sentito parlare di climatologia e di cambiamenti climatici, specialmente quelli che frequentano i corsi di laurea che si svolgono in un Dipartimento come il mio, che si chiama Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio (tra l’altro un Dipartimento sul quale esiste la convinzione che quelli che lo frequentano e ci lavorano siano degli ambientalisti!), cioè dove ci si aspetta di trovare persone interessate a questi argomenti, e quindi, che hanno già esplorato il modo dell’informazione climatica (almeno quella mediatica).
C’è un aspetto molto importante a mio avviso; che riguarda noi universitari ma no solo: la curiosità. Può sembrare una cosa ovvia, ma sul bagaglio di esperienza fino ad ora accumulata in 20 anni di insegnamento universitario, non è sempre vero che esista uno stimolo del genere nei nostri ragazzi. A volte la comodità di accedere ad informazioni preconfezionate, già in parte digerite, ma senza che siano state verificate alla luce dello stato dell’arte delle conoscenze (che cambia di giorno in giorno), riduce lo stimolo a diversificare le fonti ed a verificare le informazioni, anche semplicemente nel tentativo di confermare le proprie convinzioni. Ricordo, ma non ce n’è effettivamente bisogno, che è fondamentale la curiosità; permette di arrivare molto lontano, di porsi i problemi e di cercare di risolverli... e non soltanto in Climatologia. Per cui dico sempre ai miei ragazzi “Prima di tutto siate curiosi”. Quando inizio il corso di Climatologia, nel Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente ed il Territorio, all'Università di Milano Bicocca, ci sono due punti fondamentali che anticipo e che considero basilari. La prima cosa che dico è “Questo corso non ha un libro di testo ufficiale!”. In realtà esistono libri che potrebbero diventare la base del corso, ma sono spesso in inglese, e ciò terrorizza gli studenti, inoltre nel settore della Climatologia vengono pubblicati ogni anno una cinquantina di libri di vario genere, che normalmente affrontano il problema dei cambiamenti climatici da cinquanta punti di vista diversi. Per cui preferisco non usare un libro di testo ufficiale nel mio corso e fornisco a loro tutta una serie di materiali, stimolandoli a fare una ricerca specifica sui vari argomenti. L’altra cosa che dico all’inizio del corso, e che reputo molto importante è: ”Non vi fidate di quello che vi dico io; andate a verificare tutte le mie affermazioni. Avete la possibilità di farlo ed avete a disposizione tutti gli strumenti necessari; cominciate ad avere un’età in cui le informazioni che vi arrivano, di qualunque tipo, vanno sempre verificate”. Questo, secondo me dovrebbe valere per molti altri corsi e si ricollega al punto precedente: avere la curiosità vuol dire verificare, controllare, se è vero quello che è stato detto o scritto sia un’opinione personale di qualcuno, o sia qualcosa che è stato scientificamente definito. Questo è lo strumento che cerco di dare ai miei ragazzi: fargli capire che non bisogna mai fermarsi a quello che li viene detto. E’ vero che noi siamo docenti ed abbiamo un certo ruolo, però è anche vero che, specialmente per certe materie che sono particolarmente critiche come la Climatologia, è sempre meglio avere una platea dinamica, cioè che sia in grado di intervenire e di interloquire, anche con commenti e critiche.
Non esiste una vera differenza tra ricerca e didattica, specialmente in ambito scientifico dove l’evoluzione delle conoscenze è talmente elevata che quello che abbiamo scoperto, capito, imparato ieri diventa la didattica di oggi. Esiste cioè un filo continuo tra quello che studiamo e quello che insegniamo, non può esistere un salto, o peggio, ancora un blocco di questo flusso. E’ anche vero che dobbiamo partire sempre dai “fondamentali”, per usare un termine sportivo, cioè le basi necessarie per capire ciò che segue. La scienza però non possiede sempre un percorso diretto e lineare, anzi. Per esempio, l’anno scorso al mio corso di Climatologia ho fornito una serie di informazioni che quest’anno sono in parte cambiate, e quindi sono obbligato a modificare parte del nuovo corso. Alcuni aspetti, anche semplicemente interpretativi, sono stati modificati da nuove conoscenze, ed a volte addirittura smentiscono quello che fino ad ora sembrava acquisito. Perciò la continuità che c’è tra didattica e ricerca, almeno a livello universitario, è fondamentale: non può esserci scollamento o mancanza. Il Ministro Brunetta, in una trasmissione televisiva (non ricordo quale), parlando della situazione della ricerca espresse questo concetto: “C’è la ricerca e c’è l’Università”. Un bel niente! Non esistere differenza tra ricerca e didattica. Così come per la ricerca, anche l’insegnare deve porsi le domande giuste, che permettono di costruire un percorso didattico chiaro e continuo, rivolto agli studenti. Come già detto “Queste sono le conoscenze a tutt’oggi ed io provo ad interpretarle, ma voi dovete andate a verificare se effettivamente l’informazione è quella giusta o se esistono altre alternative”. Io spero sempre di trovare uno studente che alzi la mano e dica: “Professore, lei ha detto una sequenza di stupidate, e adesso le spiego il perché...”. Merita sicuramente grande considerazione.
Come Climatologi abbiamo anche un grosso svantaggio; molte delle informazioni vengono messe sul mercato senza - come si può dire - un’analisi critica. I dati spesso non vengono mai interpretati, non c’è mai qualcuno che li traduce in modo da renderli fruibili in modo obiettivo e semplice. Questa curva [slide, n.d.r. fig.1], che è la curva dell’andamento dell’anidride carbonica nell’atmosfera fino a ottobre 2008, è una curva che si può prestare a dieci interpretazioni diverse, ma non può prescindere da un fatto evidente: si tratta di un aumento della concentrazione dovuto all’emissione di questo gas serra nell’atmosfera da parte delle attività umane. E indipendentemente dalla mia opinione personale sulle cause, devo prima fornire gli strumenti di interpretazione (obiettivi) dei dati e poi tentare di spiegarne le ragioni. E’ questo punto scattano alcune domande... Come comunicare l’interpretazione di questo tipo di dati nell’ambito della nostra funzione didattica, senza rischiare di farsi influenzare dalla propria opinione personale? Come fare capire che, nel dubbio, bisogna cercare più di una opinione o interpretazione, verificando anche l’attendibilità delle fonti stesse, e cercare di comprendere quali sono i meccanismi interpretativi? Non è facile, anche perché l'informazione mediatica, quella generalmente a disposizione di tutti, preferisce gli estremi del “disastro imminente” o del “non è mai successo niente e niente succederà”, piuttosto che un’analisi critica intermedia.



Comunque è questo il mondo in cui mi trovo a dover lavorare, almeno fino a quando mi occuperò di Climatologia e di cambiamenti climatici, ed è indiscutibile la necessità di mantenere la continuità tra la ricerca ed il trasferimento delle conoscenze all’insegnamento (o divulgazione), anche di quelle ancora in incubazione, non completamente digerite dalla comunità scientifica, ma che servono per mantenere il quadro il più completo possibile. In effetti una lettura critica dei dati e dei processi fatta a valle di conoscenze specifiche, dovrebbe stare alla base dell’interpretazione e della successiva divulgazione (o insegnamento); ma questo spesso è disatteso. Oggi possiamo scaricare da internet di tutto, sia dati misurati che le loro interpretazioni fatte da gruppi di ricerca specifici, ma anche le opinioni di chiunque sia in grado di usare un computer, scienziato, politico o persona comune che sia. Un esempio... Prendiamo la curva dell’aumento della temperatura degli ultimi 150 anni [fig. 2]; è simile a quella dell’anno scorso, solamente che quest’anno c’è anche il 2007, e l’ultima barra verde in fondo a destra rappresenta il 2008; verde e non rossa perché è una proiezione a partire dagli ultimi 9 mesi (il 2008 non è ancora finito!). Dal 2005 si osserva una diminuzione dei valori medi annuali e la previsione per il 2008 è all’interno di questa tendenza. Ebbene, possiamo interpretare il tutto come l’inizio di una inversione di tendenza del riscaldamento globale, oppure considerare questo periodo come uno dei tanti periodi di limitato raffreddamento (es. l’inizio degli anni 60 o degli anni 80) all’interno di una tendenza più generale che continua dall’inizio del secolo scorso. Non potendo effettivamente fare previsioni per l’anno prossimo, è difficile dare validità ad una teoria o all’altra. Questo esempio nasce da una discussione con un mio collega, un fisico dell’atmosfera, che ha un atteggiamento molto critico nei confronti del riscaldamento globale. In sintesi mi ha fatto osservare che gli ultimi anni di dati mostrano un generale raffreddamento, e che anche la previsione per il 2008 segue questa tendenza. Allora io prendo il grafico, la guardo e gli dico: “E beh! (scusate, fingo di fare una lezione scusate la presunzione, ma dato il tema...). Negli ultimi tre anni abbiamo una diminuzione media della temperatura annua assoluta sia globale che europea, e questa diminuzione è un valore di circa 0,1 gradi centigradi, su un aumento di circa 1°C negli ultimi 100, di cui almeno 0,5°C negli ultimi 30.” “Certo, esiste una diminuzione, ma ovviamente bisogna verificare anche le tendenze generali, e si tratta di dati ben validati e costruiti in modo rigoroso. Osservando la curva generale della variazione della temperatura globale del nostro Pianeta, per lo stesso periodo, ci sono stati anche delle diminuzioni, con anche periodi di stasi, ma seguite in genere da maggiori e più decisi incrementi di temperatura.” E’ chiaro che non possiamo fare previsioni su quello che succederà nei prossimi anni, ma la tendenza generale sembra in una sola direzione, l’aumento. Dobbiamo anche prendere in considerazione la scala degli eventi climatici.



Quindi, un'analisi critica dei dati mi dice che la tendenza è questa, poi possiamo far finta che non sia così, ma da un punto di vista della didattica, della divulgazione, del trasferimento delle informazioni si deve essere obiettivi.
Attenzione! Fino ad ora non ho fatto nessuna affermazione del tipo: “Il nostro pianeta si sta riscaldando per colpa dell'uomo” oppure “Stiamo per friggere il nostro Pianeta”. Ho fatto vedere semplicemente delle curve di dati, interpretando la loro natura, ma non la loro causa. Questa è la fase iniziale di analisi dei dati, cioè capire quello che le misure ci dicono. Successivamente, per andare a verificarne le cause, sono necessarie molte altre informazioni che non si esauriscono solamente con la misura della temperatura o della anidride carbonica, ma bisogna capire come funziona per intero la Macchina Climatica. Mi ricordo da un corso fatto anni fa che un buon giornalista deve essere in grado di rispondere alle famose 5 domande: cosa (o chi), come, dove, quando e perché. Ebbene, per chi lavora nel settore della ricerca climatica, ma non solo, le prime 4 sono definite da delle misure che noi facciamo (i dati), invece la quinta (il perchè) è legata alla nostra capacità di simulare quello che è successo. Quest’ultimo fatto è del tutto inutile se non abbiamo a disposizione, ed abbiamo capito, quello che i dati ci dicono, indipendentemente dal loro “perché”. Utilizzando i soli dati di temperatura e di anidride carbonica, quelli che ufficialmente vengono pubblicati dai vari istituti delegati alla loro misura (scegliete voi quelli che preferite), posso farvi mezz'ora di conferenza riguardo al cambiamento globale causato dall'uomo e mezz'ora di conferenza contro l’influenza dell'uomo sull'atmosfera. Ma questo mi sarebbe molto più difficile nel momento in cui prendo in considerazione tutti i meccanismi che fanno funzionare la nostra atmosfera ed il sistema climatico in generale, perché mi troverei a dover prendere in considerazione altri dati e informazioni che, integrati, non possono essere letti in modo opposto.
È per questo che ritengo fondamentale per coloro che fanno questo mestiere, mantenere continuità tra ricerca e didattica. Noi non possiamo rallentare o perdere qualche treno, non avremmo più la possibilità di ripartire. D'altro canto maestro non è chi mi da una definizione di un processo (qualunque tipo di processo, in questo caso specifico il cambiamento climatico), ma chi mi dà la possibilità di interpretarlo, e chi mi permette di capire come funziona. È chiaro che io oggi posso solo sperare di essere migliore di coloro che mi hanno insegnato, non per la loro ignoranza, ma per il semplice fatto che sono passati 20-30 anni, e quindi ho 20-30 anni in più di informazioni e di dati che migliorano le conoscenze sui cambiamenti climatici. Quello che ho imparato dai miei maestri è quello che mi ha permesso di continuare. Quello che invece spero, è di poter fare la stessa cosa con i miei studenti e di essere superato da coloro che mi succederanno. Grazie.