giovedì 14 novembre 2013

Più vecchio è meglio!

E’ probabile che in Antartide si possa trovare ghiaccio di circa 1.5 milioni di anni. Affermazione interessante, pubblicata recentemente sulla rivista “Climate of the Past”, da un gruppo di ricercatori dell’International Partnership for Ice Core Science (IPICS), un consorzio scientifico che si propone di promuovere le attività di perforazione in ghiaccio dei prossimi 20 anni. Tra i 4 challenge che di IPICS, quello che presenta una sfida non solo scientifica, è di recuperare il ghiaccio più antico, in continuità stratigrafica, sul nostro Pianeta. L’Antartide è d’obbligo quando si parla di perforazioni profonde e di ghiaccio antico. Già nel passato, a Dome C, sono stati perforati 3300 m di ghiaccio e recuperati circa 820 mila anni di storia climatica. Il Lavoro di Fischer (Università di Berna, Svizzera) e compagni suggerisce l’esistenza di alcune zone del plateau est antartico come possibile presenza di una sequenza di ghiaccio che va indietro nel tempo fino a 1.5 milioni di anni. Queste aree, centrate nella zona di “ice devide”, cioè lo spartiacque (o meglio spartighiaccio) del ghiacciaio est antartico, va da Dome C fino a Dome F, per circa 2500 km. Qui i modellisti hanno previsto l’esistenza di ghiaccio abbastanza vecchio da poter superare il milione d’anni, ed in particolare l’area di Dome A, considerato uno dei luoghi più inaccessibili di tutto l’Antartide sembra essere il candidato migliore. 

Questa carota permetterebbe di ricostruire la storia del mosto clima a partire da uno dei periodi più sconosciuti da un punto di vista climatico. 

E’ chiaro che vanno fatti ancora molti studi, specialmente geofisici, per definire con dettaglio la topografia del continente sotto il ghiacciaio, capire i movimenti del ghiaccio, e come varia l’età del ghiaccio con la profondità.

Perforare ghiaccio per oltre 3 km, nel posto più inospitale del Pianeta pone sfide non solo scientifiche, ma anche tecnologiche e umane. Basse temperature, isolamento, e capacità di adattamento sedimenteranno altrettanti problemi che dovranno sere affrontati da coloro che parteciperanno.

Il lavor di Hubertus Fischer et al. lo trovate a questo indirizzo open acces.

http://www.clim-past.net/9/2489/2013/cp-9-2489-2013.pdf

venerdì 8 novembre 2013

Conferme e... Conferme

Lo scorso settembre, a Stoccolma, è stato presentato il quinto rapporto quadro dell’Intergovernamental Panel for Climate Change. Ogni 6-7 anni l’IPCC raccoglie i dati e le informazioni pubblicate su riviste scientifiche, e produce un rapporto sulle conoscenze sui cambiamenti climatici da tutti i punti di vista. In realtà i rapporti sono 3, uno sulle basi scientifiche, pubblicato appunto a settembre, uno sugli adattamenti ai cambiamenti climatici ed uno sulle possibili opere di mitigazione, che verranno pubblicati nel 2014. Rimanendo sul quello presentato a Stoccolma, la sua stesura ha  seguito di un sistema di scrittura-e-revisione, da parte di alcuni “lead authors” e “lead reviewer”, scelti tra ricercatori esperti di tutto il mondo, e che si sono avvalsi delle esperienze di migliaia di altri ricercatori a seconda delle specifiche competenze. Il rapporto sulle basi scientifiche è stato compilato utilizzando oltre 10.000 articoli pubblicati negli ultimi 7 anni, con oltre 2000 pagine di documento. E’ chiaro che un’analisi completa dell’opera necessita di molto tempo, e spazio, e qui si vuole solamente stimolarne la lettura (meglio, studio) almeno delle varie sintesi che si possono trovare sul sito www.ipcc.ch.

Cominciamo subito dal punto principale che normalmente viene citato da tutti, media e non: le osservazioni confermano che il nostro pianeta si sta riscaldando, che gli ultimi 30 anni hanno registrato le temperature più elevate dal 1850, con l’ultimo decennio il più caldo. Certo, gli ultimi 10 anni mostrano una stasi nella variazione della temperature, ma da un punto di vista climatico è un periodo troppo breve per essere utilizzato come indice di variazione (o non variazione). Il fatto sta che dal 1850 c’e’ stai un aumento medio della temperatura atmosferica globale di oltre 0.8°C.

Riscaldamento che ha interessato anche gli oceani, normalmente meno restii ai cambiamenti. Il riscaldamento interessa in modo particolare i primi 700 m, che hanno assorbito una parte significativa dell’energia incamerata dall’atmosfera. Questo può essere interessante, dato che alcuni considerano gli oceani la causa del rallentamento dell’aumento della temperatura atmosferica degli ultimi 10-15 anni.

I ghiacci, polari e non, si stanno ritirando. Qui la serie di dati è molto più breve (in genere dal 1979, primi satelliti ambientali), ma con delle tendenze molto più nette. L’emisfero nord in particolare mostra una riduzione significativa del ghiaccio marino, di qualche percento nella stagione invernale, ma con valori molto alti nella stagione  estiva. La grande calotta groenlandese mostra un’aumento della zona di ablazione (area soggetta alla fusione estiva) fino a circa la metà della superficie totale del ghiacciaio, e con conseguente aumento della velocità dei ghiacciai di sbocco, che convogliano ghiaccio ed acqua di fusione nell’Atlantico. Anche il permafrost, strato di ghiaccio presente nei sedimenti e nelle rocce in aree circumpolari e di alta quota, presenta una maggiore fusione estiva, con un’aumento dei problemi legati alla stabilità delle superfici e delle rocce. In effetti se ci limitiamo all’area circumpolare dell’emisfero nord, si osserva un’aumento medio della temperatura dell’aria di circa 3°C!

Un’altro punto cruciale è quell delle cause. Il rapporto IPCC, definisse "estremamente probabile” che il riscaldamento, almeno dalla metà del XX secolo, sia dovuto all’uomo, migliorando le stime rispetto il 4 rapporto quadro (2001) dove questo effetto era considerato solo “molto probabile” (per una spiegazione dettagliata dei livelli di confidenza, vedere l’introduzione del rapporto quadro). Certo, non viene esclusa la presenza di effetti naturali, ma per gli ultimi 60 anni sembra che questi pesino in modo poco incisivo sul "global warming".

Ed il futuro? L’IPCC stima che ben difficilmente per il 2100 riusciremo a mantenere il riscaldamento entro i 2°C, salvo radicali operazioni di riduzione di emissioni. Inoltre diventeranno più frequenti gli “eventi estremi”, come ondate di calore, precipitazioni intense o maggior numero di uragani.

Come dicevo all’inizio è una lettura interessante. Ovviamente non per tutti, ma credo che uno sforzo vada fatto…d’altro canto non abbiamo altro Pianeta al diffusori di questo!.

 

martedì 5 novembre 2013

Quattrocento e non solo!

Nel mese di maggio del 2013 all’Earth System Research Laboratory della NOAA, ente statunitense che studia l’atmosfera e gli oceani, laboratorio che si trova sulle pendici del vulcano Mauna Loa alle Hawaii, ha misurato valori di concentrazione dell’anidride carbonica (CO2) in atmosfera superiori alle 400 parti per milione (ppm). Si tratta della concentrazione misurata più elevata negli ultimi 800.000 anni, così come risulta dalle misurazioni fatte sia in atmosfera direttamente che nelle bolle d’aria intrappolate nei ghiaccia antartici. 
Certo solamente 400 ppm, cioè solamente lo 0,4% (o il 4 per mille), una quantità estremamente bassa, ben lontana dalle concentrazioni dei principali gas che compongono la nostra atmosfera, come il 18% dell’ossigeno (simbolo chimico O) oppure il 72% dell’azoto (simbolo chimico N), ma che ha riportato in modo repentino l’interesse mediatico sul problema dei cambiamenti climatici che negli ultimi anni era in parte scemato, anche per l’attuale crisi economica, spostando gli interessi su problemi più contingenti e non così legati ad una sensibilità che viene considerata particolarmente personale. 
Questa minima quantità, ben al disotto dell’uno per cento, diventa invece importante se viene legata ad una serie di reazioni chimico-fisiche che rientrano nella grande categoria dell’effetto serra. Negli ultimi 200 anni questo numero è aumentato del 40%, passando dai 270-280 ppm prima dell’industrializzazione ai 400 ppm di oggi. Questa percentuale permette di evidenziare con più chiarezza quello che è successo nella nostra atmosfera negli ultimi due secoli, ma, come vedremo nei capitoli successivi, diventa significativa anche in periodi non sospetti, quando l’uomo non era ancora in grado di modificare la composizione chimica della nostra atmosfera. 
Ci sono numeri che rappresentano soglie critiche nella nostra vita, come il 200 mg per decilitro di colesterolo nel sangue, che rappresenta un livello di allerta per la nostra salute, o il costo della benzina alla famosa soglia dei 2 Euro al litro, sfiorata qualche anno fa il cui rischio non è ancora scongiurato. Questi numeri possono risvegliare timori, speranze, ansia, felicità arrivando anche a limitare o amplificare i nostri gesti quotidiani, e in alcuni casi si sfiora, o si supera, la linea della superstizione come per il numero 13 o 17 che per molti hanno diversi significati sfavorevoli e non, o come la cabala o la smorfia napoletana. 
Nel mondo scientifico questi numeri, che in molti casi sono rappresentanti di specifiche soglie, sono invece all’ordine del giorno. I ricercatori vivono avendo chiaramente a mente numeri che rappresentino dei riferimenti per il loro lavoro. Che sia una distanza intergalattica per un astrofisico, una certa data per uno storico, un indice di borsa o un tasso di sconto per un’economista, tutti hanno una reazione, anche emotiva, solamente a vedere o nominare questi numeri.

Non fa specie a parte la climatologia. Esistono dei numeri di riferimento sui quali vengono basati gli studi, le interpretazioni o gli scenari futuri, come il previsto aumento della temperatura media annua stimata per il 2100, compresa tra i 2°C ed i 6°C. Attualmente esiste una discussione, e non solo nell’ambiente scientifico, sul modo per mantenere l’aumento della temperatura media de nostro pianeta entro i 2°C. Valore previsto nel caso di scenari socio-economici futuri con un’aumento della popolazione mondiale fino a 9 miliardi nel 2050, e poi decrescita, su un’utilizzo diffuso di energie alternative e rinnovabili, ed un trasferimento delle tecnologie pulite a tutte le nazioni del mondo (Scenario B1 del rapporto IPCC 2007, o lo scenario RCP 2.4 del rapporto IPCC 2013). Questo scenario prevede la totale unificazione dell’economia mondiale ed una attenzione particolare agli aspetti ambientali, dove gli interessi di parte sono sostituiti da una globalizzazione delle risorse, un mondo quindi dove tutti si vogliono bene. Questi 2°C quindi sono non sono solamente una misura prevista, ma un’approccio mentale estremamente diverso da quello che attualmente stiamo applicando, e che può rappresentare un sogno, o un’incubo, a seconda degli interessi coinvolti.
Riferimenti
http://www.esrl.noaa.gov/gmd/ccgg/trends/mlo.html per i dati di CO2, www.noaa.gov per conoscenze più generali.
http://www.esf.org/index.php?id=855 per info generali. Articoli specifici sui vari aspetti sono: EPICA Members, 2004. Eight glacial cycles from an Antarctic ice core Nature 429 (6992), 623-628. EPICA Members, One-to-one coupling of glacial climate variability in Greenland and Antarctica Nature 444 (7116), 195-198. Lambert, F., Delmonte, B., Petit, J.R., Bigler, M., Kaufmann, P.R., Hutterli, M.A., Stocker, T.F., Ruth, U., Steffensen, J.P. and Maggi, V., 2008. Dust-climate couplings over the past 800,000 years from the EPICA Dome C ice core NATURE 452 (7187), 616-619. Orombelli, G., Maggi, V. and Delmonte, B., 2009. Quaternary stratigraphy and ice cores. Quaternary International 219, 55-65. Dieter Lüthi, Martine Le Floch, Bernhard Bereiter, Thomas Blunier, Jean-Marc Barnola, Urs Siegenthaler, Dominique Raynaud, Jean Jouzel, Hubertus Fischer, Kenji Kawamura & Thomas F. Stocker, 2008. Nature 453, 379-382
Sono moltissimi i testi, gli articoli ed i siti web che sviluppano l’Effetto Serra, ovviamente non è possibile elencarli tutti, quindi mi accontento di alcuni riferimenti, che possono essere utilizzati come base di partenza. Ho citato solamente quelli in italiano, evidentemente la bibliografia in inglese è ancora più vasta. http://www.treccani.it/enciclopedia/effetto-serra/; Alessandro Lanza, Il cambiamento climatico, Il Mulino, 2000, pag. 128; Antonio Navarra, Andrea Pinchera, Il Clima, Editori Laterza, 2000, pag. 230; 

Nel settembre del 2013 è stato pubblicato il 5 rapporto quadro dell’Intergovernamental Panel for Climate Change, appunto IPCC, organo tecnico dell’ONU con competenza sui cambiamenti climatici. l’IPCC ogni 5-6 anno produce un rapporto che riassume, per i decisori politici, le informazioni e le conoscenze sul clima, e traccia degli scenari futuri prevedendo un’evoluzione scientifica, tecnologica, socio-economica e politica del nostro intero pianeta. A1, B1, A2, B2 (e sottogruppi) sono stati utilizzati per il quarto rapporto dell’IPCC pubblicato nel 2007. Nel 2013 con il 5 rapporto, sono stati costruiti nuovi scenari, non dissimili da quelli del 2007, ma più precisi e con una nuova codifica RCP 2.6, RCP 4.5, RCP 6.0, RCP 8.5.